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IL PAP-TEST
Il Pap test è un test di screening, che si effettua cioè anche in donne sane, senza alcun segno di possibile malattia, per individuare precocemente tumori del collo dell’utero o alterazioni che col passare degli anni potrebbero diventarlo. La sua introduzione ha contribuito significativamente alla riduzione della mortalità per tumore del collo dell’utero (anche detto della cervice uterina), Potrebbe anche essere utile per dare indicazioni sull’equilibrio ormonale della donna e permettere il riconoscimento di infezionibatteriche, virali o micotiche.
L’esame si effettua nel corso di una normale visita ginecologica, durante la quale si applica lo speculum, uno strumento che dilata leggermente l’apertura vaginale per mettere in evidenza il collo dell’utero su cui l’operatore esegue un delicato prelievo mediante una speciale spatola, spatola di Ayre, e uno spazzolino morbido, Cytobrush, che servono a raccogliere piccole quantità di muco rispettivamente dal collo dell’utero e dal canale cervicale. Su questo campione, in laboratorio, si cercheranno le cellule esfoliate dal tessuto, perché siano esaminate con appositi metodi di colorazione e un approfondito esame computerizzato.
In base alle linee guida europee e della Commissione Oncologica Nazionale, nella fascia di età compresa tra 25 e 65 anni sarebbe opportuno effettuare il test almeno ogni tre anni. Negli Stati Uniti si esegue ogni 12 mesi.
Anche le donne in menopausa devono continuare a sottoporsi all’esame, almeno fino ai 65 anni di età, anche se non hanno più rapporti sessuali
L’unico accorgimento nell’esecuzione dell’esame è di non eseguirlo durante il flusso mestruale, per cui sarebbe bene fissare l’appuntamento ad almeno tre giorni dalla fine delle mestruazioni e una settimana prima di quando si prevede possa subentrare il ciclo successivo, dato che la presenza di sangue può oscurare il campo di visione e rendere la lettura dell’esame imprecisa. La gravidanza, l’uso di contraccettivi e la presenza di una spirale intrauterina non rappresentano una controindicazione all’indagine.
Le donne vergini, che non hanno mai avuto rapporti sessuali completi, possono comunque provare a eseguire l’esame. Il medico o l’ostetrica, opportunamente informati, utilizzeranno uno strumento apposito per dilatare l’apertura della vagina. A seconda delle caratteristiche anatomiche della donna, in questi casi potrebbe però essere difficile riuscire a prelevare dal collo dell’utero il campione di muco da esaminare. Il risultato quindi può non essere altrettanto affidabile.
Nonostante queste difficoltà, le donne adulte dovrebbero comunque sottoporsi all’indagine perché, sebbene il rischio di cancro al collo dell’utero sia molto basso in una donna vergine, esistono rare forme che si sviluppano indipendentemente dall’infezione da papilloma virus (HPV) trasmessa da un partner.
Occorre anche chiarire che, mentre è vero che i tumori della cervice uterina dipendono nella quasi totalità dei casi dall’infezione virale, la maggior parte delle infezioni da HPV invece si risolvono spontaneamente e, anche quando ciò non accade, non daranno necessariamente origine a un cancro. La vaccinazione contro l’infezione da HPV non esonera attualmente dall’esecuzione dell’esame. La protezione infatti non assicura una copertura totale e si rivolge solo ai virus più diffusi, ma non ad a tutti i tipi di virus.
Le donne che in passato sono state sottoposte a isterectomia dovrebbero consultare il loro medico per sapere se devono continuare a effettuare lo screening o no. In genere si ritiene comunque opportuno ripetere l’esame se l’utero è stato asportato a causa di un tumore o di una forma pretumorale, mentre non occorre se è stato tolto per altre ragioni, per esempio a causa di emorragie abbondanti.
Nei due giorni prima di un Pap test, meglio evitare prodotti spermicidi, lavande, creme, gel, ovuli o schiume vaginali di qualunque tipo, perché potrebbero eliminare o nascondere cellule anormali.
I risultati potrebbero venire alterati anche dai rapporti sessuali, da cui sarebbe meglio astenersi nei due giorni precedenti all’esame
Le cellule vengono quindi colorate secondo il metodo di Papanicolau ed esaminate al microscopio da un citologo o patologo che provvederà a stilare un referto.
Il referto viene comunicato con una sintetica descrizione dello stato delle cellule. In Italia la classificazione consigliata e più frequentemente utilizzata è il Sistema Bethesda 2001 (TBS 2001) che suddivide i risultati del test in:
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[av_row row_style=”][av_cell col_style=’avia-highlight-col’]Negativo[/av_cell][av_cell col_style=”]non evidenza di lesione intraepiteliale o neoplastica[/av_cell][/av_row]
[av_row row_style=”][av_cell col_style=’avia-highlight-col’]LSIL[/av_cell][av_cell col_style=”]lesione squamosa intraepiteliale di basso grado, comprendente HPV/displasia lieve, CIN1[/av_cell][/av_row]
[av_row row_style=”][av_cell col_style=’avia-highlight-col’]HSIL[/av_cell][av_cell col_style=”]lesione squamosa intraepiteliale di alto grado, comprendente displasia moderata e grave, carcinoma in situ / CIN2, CIN3[/av_cell][/av_row]
[av_row row_style=”][av_cell col_style=’avia-highlight-col’]AIS[/av_cell][av_cell col_style=”]cellule ghiandolari sospette per adenocarcinoma in-situ del collo dell’utero[/av_cell][/av_row]
[av_row row_style=”][av_cell col_style=’avia-highlight-col’]Carcinoma[/av_cell][av_cell col_style=”]cellule di carcinoma squamoso[/av_cell][/av_row]
[av_row row_style=”][av_cell col_style=’avia-highlight-col’]ASC-US[/av_cell][av_cell col_style=”]cellule squamose atipiche, non ulteriormente classificabili[/av_cell][/av_row]
[av_row row_style=”][av_cell col_style=’avia-highlight-col’]ASC-H[/av_cell][av_cell col_style=”]cellule squamose atipiche, non si esclude una HSIL[/av_cell][/av_row]
[av_row row_style=”][av_cell col_style=’avia-highlight-col’]AGC[/av_cell][av_cell col_style=”]cellule ghiandolari atipiche, specificando se endometriali, endocervicali, ghiandolari o non altrimenti specificate[/av_cell][/av_row]
[av_row row_style=”][av_cell col_style=’avia-highlight-col’]Adenocarcinoma[/av_cell][av_cell col_style=”]Adenocarcinoma: endocervicale, endometriale, extrauterino o non altrimenti specificato[/av_cell][/av_row]
[av_row row_style=”][av_cell col_style=’avia-highlight-col’]CTM[/av_cell][av_cell col_style=”]Cellule tumorali maligne non altrimenti specificabili[/av_cell][/av_row]
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Le diverse risposte riflettono diverse probabilità di sviluppare o già presentare un tumore del collo dell’utero. In generale, in caso di test “non negativo” è indicato un approfondimento diagnostico (colposcopia ed eventualmente biopsia) o una ripetizione a breve scadenza del test, eventualmente associata a tecniche biomolecolari come la tipizzazione HPV. In altri casi una ripetizione dell’esame è dovuta semplicemente ad una insufficiente quantità delle cellule prelevate o ad un’infiammazione che può impedire la corretta interpretazione dell’esame.
IL TEST PER L’HPV
Il test HPV consiste nel prelievo di una piccola quantità di cellule dal collo dell’utero che vengono successivamente analizzate per verificare la presenza di DNA del Papillomavirus. Le infezioni causate da questo comunissimo virus sono responsabili del tumore del collo dell’utero. L’esame, le cui modalità di esecuzione sono analoghe a quelle del Pap test, può essere eseguito da tutte le donne, purché non sia presente flusso mestruale, tuttavia, l’opportunità di eseguirlo è ancora oggetto di valutazione.
Il test HPV è più sensibile del Pap test: è, cioè, più efficace nel rilevare le lesioni che potrebbero evolvere in tumori. Tuttavia, è meno specifico, vale a dire che identifica anche infezioni che potrebbero regredire spontaneamente.
Per questa ragione si raccomanda che a un esame HPV positivo segua un Pap test che confermi la reale positività.
La positività al test HPV non significa necessariamente presenza di tumore; il test HPV deve essere eseguito a intervalli più lunghi (almeno cinque anni) rispetto ai tre anni previsti per il Pap test e infine, per la diagnosi precoce del cancro del collo dell’utero non deve essere impiegato prima dei 30-35 anni, poiché prima di questa età le infezioni da HPV sono molto frequenti, ma regrediscono spontaneamente e non evolvono quasi mai in tumore.
Cos’è l’HPV?
L’HPV, o virus del papilloma umano, è una comune infezione virale, prevalentemente a trasmissione sessuale. La maggior parte delle persone è portatrice dell’HPV senza nemmeno saperlo.
Conosciamo circa 100 tipi di HPV; 13 di questi possono essere causa di cancro del collo dell’utero. Alcuni tipi causano verruche genitali (note come “condilomi”), che, anche se non collegate al cancro, rendono consigliabile vericare l’eventuale presenza di un’infezione da HPV nel collo dell’utero.
Quali sono i rischi dell’HPV?
Nella maggior parte dei casi, quando si viene a contatto con l’HPV, l’organismo si libera del virus nell’arco di qualche mese. Tuttavia, in una piccola percentuale di donne, il virus non viene eliminato; in questi casi aumenta il rischio di sviluppare anomalie del collo dell’utero che possono evolvere in un tumore. Le lesioni che si sviluppano sono inizialmente di basso grado (LSIL) ed evolvono solo nel 15% dei casi verso lesioni di grado elevato (HSIL), data l’elevata frequenza di regressione spontanea, a seconda anche dello stato delle difese immunitarie della donna.
A cosa serve il test dell’HPV (DNAPAP)?
Il test del DNAPAP rileva la presenza dei tipi di HPV ad alto rischio prima che le cellule del collo dell’utero presentino cambiamenti visibili.
Il test permette quindi di individuare le donne potenzialmente a rischio di cancro del collo dell’utero.
Per effettuare questo test basta prelevare un campione di cellule dal collo dell’utero con le stesse modalità utilizzate per il Pap-Test.
È utile fare sia il Pap-Test che il test HPV (DNAPAP)?
Nelle donne dai 30 anni in su, eseguire il Pap-Test (e se possibile la Citologia su strato sottile) assieme al test HPV è il metodo più efficace per prevenire il cancro del collo dell’utero. Questo approccio combinato può infatti rilevare il 97% delle malattie del collo dell’utero di grado elevato. Il test HPV permette di distinguere, tra le anomalie evidenziate dal Pap-Test, quelle che regrediranno da sole da quelle che si trasformeranno in una malattia più seria.
Se entrambi i test risultano negativi sono veramente minimi i rischi di sviluppare un cancro del collo dell’utero.
Il test inoltre, secondo le linee guida della Società Italiana di Colposcopia e altre società internazionali, va sempre eseguito per il controllo dopo trattamenti per lesioni precancerose del collo dell’utero e per tutti i casi di Pap-Test dubbi (ASCUS).
Vi ricordiamo che:
- l’HPV è un virus molto comune, non bisogna allarmarsi se il test fosse positivo;
- il cancro del collo dell’utero è una malattia molto rara, grazie anche alle misure di prevenzione che è possibile attivare (Pap-Test, Citologia su strato sottile, DNAPAP);
- se le anomalie vengono rilevate precocemente il trattamento ha successo nel 100% dei casi.
Il Pap-test su strato sottile
Relativa novità nell’ambito della diagnosi delle patologie dle collo dell’utero, il materiale raccolto, anzichè essere strisciato su un vetrino, viene inserito in un flaconcino contenente un liquido che permette il “lavaggio” del materiale cellulare e quindi la separazione delle cellule da sangue, muco, etc. Il risultato finale è un vetrino molto più “pulito” che permette diagnosi più affidabili.
Se inoltre venissero individuate lesioni sul collo dell’utero riferibili al virus HPV, sarà possibile richiedere il test per la relativa ricerca.
Il test per la ricerca HPV può essere richiesto sempre in associazione al Pap-test: studi recenti indicano che in tal modo è possibile ottenere la migliore prevenzione, in particolare nelle donne con età superiore ai 30 anni.
L’ECOGRAFIA GINECOLOGICA TRANSVAGINALE
L’ecografia transvaginale è un sistema di indagine diagnostica spesso utilizzato in ginecologia ed ostetricia. Rispetto all’ecografia pelvica trans-addominale (nella quale la sonda ecografica viene appoggiata sull’addome inferiore) permette una migliore visualizzazione di utero, endometrio, cervice uterina, tube di Falloppio, ovaie e dello spazio parauterino, comprensivo delle logge parieto-coliche e del cavo del Douglas.
La sonda rivestita con materiale monouso e di piccole dimensioni (poco più di 1 cm di diametro), viene inserita in vagina con l’ausilio del gel per ultrasonografia, consentendo un ingresso agevole ed indolore; emette ultrasuoni che vengono riflessi in maniera diversa dai diversi tessuti. Questi segnali sono riconosciuti da un computer che ricostruisce su di un monitor le immagini degli organi pelvici, e il medico può registrarle singolarmente o in toto.
L’ecografia transvaginale viene effettuata dal medico ginecologo o da altro personale medico competente; la paziente viene invitata ad urinareprima dell’esame e, una volta a vescica vuota, viene fatta distendere in un lettino per esami in posizione ginecologia. L’esame si completa in pochi minuti se non sono necessarie ulteriori indagini.
L’ecografia transvaginale viene effettuata in differenti casi, fra cui il sospetto di patologie riguardanti l’apparato genitale femminile (Iperplasia endometriale, Leiomiomatosi uterina, a denomiosi ed endometriosi, masse ovariche ed altre condizioni patologiche degli annessi, ascessi o processi infettivi localizzati, neoplasie cervico-endometriali, polipi endometriali o cervicali, gravidanza extrauterina) oppure la visualizzazione precoce della camera gestazionale nelle pazienti con sospetta gravidanza.
L’indagine può inoltre essere eseguita in qualunque fase del ciclo mestruale. Nelle donne vergini il ginecologo può valutare con la visita se l’imene è sufficientemente elastico da consentire l’esecuzione del test. In caso contrario si può decidere di ricorrere all’ecografia trans rettale.
L’esame transvaginale si esegue a vescica vuota, ma talvolta si richiede di averla piena (e quindi di bere e non urinare nell’ora precedente all’indagine) per effettuare prima anche l’ecografia pelvica esterna. Al momento dell’indagine ci si deve spogliare dalla vita in giù e sistemare sul lettino in posizione ginecologica. Non è richiesta nessun’altra preparazione al test.
CHE COS’È LA SONOISTEROSALPINGOGRAFIA?
La Sonoisterosalpingografia (SHSG: Sonohystero-Salpingography o Hy-Co-Sy: Hystero-salpingo-Contrast Sonography) con mezzo di contrasto è una metodica ecografica per la valutazione della pervietà tubarica, ovvero della eventuale apertura di una o di entrambe le tube uterine.
Si propone come alternativa non invasiva all’Isterosalpingografia (metodica radiologica) e alla Cromosalpingografia in corso di laparoscopia (la laparoscopia è un vero e proprio intervento, sebbene poco invasivo, che si esegue praticando solo tre piccoli fori nell’addome). Queste ultime due tecniche che abbiamo citato sono ancora oggi considerate le migliori metodiche di studio della pervietà tubarica.
La Sonoisterosalpingografia viene proposta come esame diagnostico di primo livello negli accertamenti iniziali per la sterilità di coppia, in questi casi viene generalmente associata alla valutazione della cavità uterina con Sonoisterografia e allo studio della morfologia uterina conEcografia Transvaginale 3D.
La seconda indicazione della Sonoisterosalpingografia è verificare la presenza di patologie uterine endocavitarie (fibromi, polipi sinechie, ecc).
CONTROINDICAZIONI
Assolute
- Gravidanza o sospetto di gravidanza
- Patologia infiammatoria annessiale acuta
- Perdite ematiche genitali
- Tumori maligni dell’apparato genitale
- Patologie cardiache o respiratorie
Relative
- Infiammazioni acute ginecologiche: vaginiti, cerviciti, endometriti
- Stenosi cervicali
COME SI ESEGUE?
L’esame viene eseguito in ambulatorio, nella prima fase del ciclo (tra il 5° e il 12° giorno) senza utilizzare anestesia locale; può essere utile eseguire una premedicazione con antispastici circa un’ora prima dell’esame.
Dopo aver disinfettato la cervice uterina, si introduce in utero un catetere dotato di palloncino, e si posiziona in modo che il palloncino occluda l’orifizio uterino interno. Questa operazione serve a impedire la fuoriuscita del liquido di contrasto che è necessario introdurre per eseguire l’esame.
A questo punto, mentre si esegue l’ecografia transvaginale, si iniettano nel catetere soluzione fisiologica sterile ed aria e si verifica il passaggio delle bolle d’aria nella cavità uterina, a livello della tuba e intorno all’ovaio. Se il passaggio avviene senza ostacoli significa che le tube sono aperte. Può anche accadere che all’interno delle tube vi sia un deposito di muco, che in questo caso, al passaggio del getto di aria e acqua, viene rimosso. E dunque l’esame diagnostico ha anche un effetto “curativo”.
L’ausilio del color Doppler, che evidenzia un forte incremento di colore al passaggio del mezzo di contrasto, può essere utilizzato come criterio aggiuntivo per la diagnosi di pervietà tubarica. Infine il rilievo di una falda fluida in cavità peritoneale dopo l’esame conferma ulteriormente che le tube sono aperte.
EFFETTI COLLATERALI
L’esame può provocare, seppure in una piccola percentuale di casi, alcuni effetti collaterali quali dolori pelvici, sudorazione, nausea, vomito, bradicardia, lipotimia e perdite ematiche vaginali.
Infezione pelvica e peritonite. La percentuale di tale complicanza è inferiore allo 0,1%; si manifesta con febbre e dolore addominale e potrerbbe richiedere una terapia antibiotica domiciliare e, nei casi più gravi, il ricovero ospedaliero. Raramente, per risolvere tale quadro patologico, potrebbe essere necessario un intervento chirurgico (laparoscopico/laparotomico).
CRITERI DI VALUTAZIONE DELL’ESAME
Si considerano criteri di pervietà tubarica:
- La visualizzazione del passaggio di aria e soluzione fisiologica attraverso le salpingi
- La positività del segnale Color-Doppler del passaggio della soluzione fisiologica
- La visualizzazione della diffusione periovarica delle bolle d’aria e del liquido iniettato
- La visualizzazione del liquido libero nel cavo di Douglas
Si considerano criteri di impervietà tubarica:
- La mancata visualizzazione del passaggio di aria e soluzione fisiologica attraverso le salpingi
- La mancata visualizzazione della diffusione periovarica
- La mancata visualizzazione del liquido libero nel cavo di Douglas
SUCCESSO DELLA METODICA
Dai dati della letteratura l’indagine non è effettuabile fino al 10% dei casi per stenosi cervicale severa (è la causa più frequente, soprattutto in pazienti nullipare), eccessiva beanza del canale cervicale che non consente un corretto riempimento della cavità uterina ed il passaggio del liquido nelle salpingi, patologie uterine che impediscono il corretto inserimento del catetere (fibromi, polipi, ecc), insorgenza nel corso dell’esame di dolore pelvico o altre condizioni che inducano a sospendere l’esame.
ACCURATEZZA DIAGNOSTICA NELLA VALUTAZIONE DELLA PERVIETÀ TUBARICA
I risultati di questa metodica vengono generalmente comparati con quelli ottenuti dalla salpingocromoscopia in corso di laparoscopia (concordanza nel 75-90% dei casi) e con l’isterosalpingografia (concordanza nel 85-100% dei casi). La SNG può quindi essere considerata un valido esame di primo livello per la determinazione della pervietà tubarica e, come primo approccio, può sostituire l’isterosalpingografia. La metodica è sicuramente valida per documentare la pervietà tubarica, mentre non è altrettanto sicura per diagnosticare un’occlusione tubarica. L’esame risulta sicuramente accurato quando si evidenzia il passaggio delle micro-bolle di aria nelle tube e in cavità peritoneale, mentre la sua accuratezza si riduce quando tale passaggio non si riesce a valutare così nettamente. In questi casi l’occlusione tubarica non deve essere data come reperto conclusivo ma è necessario eseguite esami di secondo livello (Isterosalpingografia o la Cromosalpingografia) che permettano una diagnosi definitiva.
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